Pistoletto-Ronda-Aubertine

Mostra “Pistoletto – Ronda –  Aubertin”

Dal 12  dicembbre 2015 al 31 gennaio 2016

 

Galleria Berga inaugura sabato 12 dicembre una nuova mostra di ambio respiro internazionale, scegliendo di esporre opere di tre grandi nomi dell’arte contemporanea: Michelangelo Pistoletto, Omar Ronda e Bernard Aubertin.

Si tratta di artisti molto noti sia ai collezionisti ed alle case d’asta sia al pubblico appassionato, che comincia ad approcciarsi al mondo dell’arte dell’Oggi.

Di Omar Ronda, artista con cui la galleria collabora ormai permanentemente, sarà visibile un’opera della serie “Genetic fusion”, anni ’90, in cui l’artista utilizza come di consueto la plastica fondendo in essa varie masse cromatiche di questo materiale che assumono il carattere di superficie pittorica ed elementi concreti del vivere quotidiano dell’uomo. La funzione del materiale plastico, in quanto elemento naturale derivante dal petrolio, è quella di purificare gli elementi su cui viene colato dall’artista, a simboleggiare la volontà di riportare il vivere dell’uomo alla sua primaria semplicità. Pistoletto invece si presenta con opere anni ’70, quali “Il cappio”, “Coniglio appeso”, “Cartella A”, che alla serie dei Quadri specchianti. Il suo primo quadro “specchiante” fu un quadro in cui dipinse la sua figura su un fondo nero reso riflettente da una vernice trasparente, mentre in seguito, nel 1962, l’artista mise a punto la sua tecnica, ossia il riporto fotografico su carta velina applicata su lastra di acciaio inox lucidata a specchio. L’artista, che indirizza la sua ricerca sull’indagine della dimensione esistenziale dell’uomo, gioca il suo lavoro sulla coesistenza, nella stessa opera d’arte, di due spazi, quello “immobile” dell’immagine fotografica, e quello “vitale” dell’osservatore che inevitabilmente si specchia nel quadro. I Quadri specchianti riflettono e fanno riflettere continuamente, e insegnano a guardare l’arte sempre come un mezzo per una continua verifica delle possibilità di libertà e avventura di vita individuale e collettiva, e non come una dimensione separata in cui rifugiarsi per sfuggire alle tensioni del mondo che ci circonda. L’osservatore è libero di appendersi un cappio al collo o di trovarsi di fronte ad un’animale scuoiato vivo dalla crudeltà umana.

Per finire Bernard Aubertin. Nato in Francia, dopo l’incontro con Yves Klein, nel 1961 entra a far parte del gruppo “Zero” di Dusseldorf, movimento che nasce dall’esigenza di alcuni artisti di aprirsi uno spazio comunicativo più libero, che permettesse anche nuove modalità espressive. La sua attività artistica si è svolta inizialmente a Parigi e poi dagli anni ‘70 a Brest e per lunghi periodi tra Brescia e Verona. Dal 1990 vive e lavora a Reutlingen in Germania. Sarà esposta in galleria la scultura “Violin Brulè”, opera del 1989. Si tratta perciò di un violino dato alle fiamme posto su una tavola di colore rosso. La scelta di questo strumento per realizzare l’opera si può individuare in due fattori fondamentali: il primo riguarda la sinuosità e la bellezza delle sue forme mentre il secondo, più prettamente concettuale, riguarda la sua complessità nel suonarlo e conseguentemente il suo aumento di prestigio e di valore ideale. Nella realizzazione dell’opera Aubertin fa divampare le fiamme nella cassa dello strumento lasciandolo in qualche modo “suonare” un’ultima volta prima della sua trasformazione in opera d’arte. Nella combustione il violino muta la sua forma: la vernice si irruvidisce e si scioglie, il legno si annerisce quasi completamente e il materiale si deforma irreversibilmente. A processo completato i colori protagonisti dell’opera diventano esclusivamente nero del violino e il rosso della tavola sottostante che risalta ulteriormente in contrasto alla carbonizzazione dello strumento. Sono questi due colori che fondano la metafisica artistica di Aubertin, tinte e tonalità che hanno come unico fine fungere da specchio per l’essere. Il procedimento concettuale e scenografico della combustione dello strumento suscita nell’osservatore un profondo turbinio emotivo che lo avvicina idealmente alla creazione e il coronamento di questo processo si identifica con la nascita dell’opera d’arte a partire da un oggetto considerato tutto sommato di uso comune.