“La musica non è l’arte dei suoni, ma tutto ciò che nella storia si è usato chiamare musica: la musica insomma non è altro che la successione delle opere” (Chiari, G.)
La caratteristica dominante del lavoro di Giuseppe Chiari (Firenze 1926 – Firenze 2007) è la sua interdisciplinarità, intesa come interazione, anche simultanea, di più espressioni artistiche, quali musica, immagine visiva, linguaggio, gesto e poesia. Precursore dell’arte denominata “concettuale”, Giuseppe Chiari è compositore ed artista che dal 1962 partecipa attivamente al movimento “Fluxus”, i cui membri si proposero di rifondare completamente un’etica artistica, coniugando idealmente arte e vita, dove l’arte è il luogo totale dove non esistono fatti, ma solo un concatenarsi continuo di eventi e strumenti, e la vita, allo stesso modo, una totalità di atti in successione temporale che confluiscono nel “quotidiano”. L’importanza di Giuseppe Chiari nella musica è quella di aver saputo “scoprire l’intima qualità formale e musicale degli oggetti, così da poterli suonare, sfruttando tutte le sue peculiarità morfologiche” (Musica senza contrappunto, 1969). Egli, infatti, ha studiato a lungo la capacità di maneggiare sonoramente, acusticamente e strutturalmente ogni tipo di oggetto ed anche come far risuonare il corpo del compositore sullo strumento musicale, alla ricerca di nuove possibilità e libertà espressive. Chiari ci dimostra come si possa fare musica con qualsiasi oggetto, in qualsiasi situazione e attraverso qualsiasi processo, proponendo insolite successioni di gesti (appuntati direttamente sulle partiture) da compiere per ottenere risultati inaspettatamente creativi. Il fine è quello della rottura con la consuetudine, la ritualità gestuale che accompagna strumento musicale, suono e musica, per affermare la libertà e la totalità dell’arte e della vita. D’altro canto è proprio Chiari a definire arte ciò che è differente, “è la definizione dell’inverso di arte”, che si pone come costantemente variabile perché viva. Per Chiari, dunque, non vi è gerarchia e distinzione tra le varie discipline artistiche, ed anche per quanto riguarda la produzione visiva egli mira a scardinare ogni precisa fedeltà a tecniche e materiali tradizionali della pittura, di modo che le sue opere non siano immediatamente riconoscibili e l’osservatore sia chiamato ad essere parte integrante del processo creativo, si liberi dei canoni della visione, e scopra lui stesso nuove direzioni interpretative per l’opera d’arte. Nel 1963 Chiari fonda a Firenze il Gruppo 70, cui aderiscono artisti appartenenti ai più diversi ambiti di ricerca artistica e metodologica, quali pittura, musica, grafica e poesia. Dalla fusione e contaminazione di vari linguaggi deriva un’opera “unica”, “totale”, che si presenta generalmente come un’”affiche”, costituita da ritagli, fotografie, disegni e scritte prelevati dal sistema massmediatico della comunicazione tecnologica, commerciale e pubblicitaria e investiti di nuovi significati. Alla base del processo visivo vi è l’azione, il gesto di “riscrivere” delle immagini, privarle dell’originario contenuto stereotipato, accostandole in modo nuovo, servendosi anche delle parole per sottolineare i nuovi rimandi. In Chiari troviamo frammenti, fotocopie, fotografie, stampe tipografiche, spartiti musicali, istruzioni, cancellature, grandi masse di colore, in una fusione continua tra linguaggio visuale e musicale, perché il suono viene dipinto, e l’immagine suonata, così da perdere completamente ogni certezza, e creare nuove sinestesie che inducano lo spettatore a moltiplicare le sue esperienze sensoriali. In mostra anche opere del giovane artista emergente, nato a Thiene nel 1977, Gianluca Dal Bianco. Egli è artista polidimensionale, dapprima musicista, poi pittore, ama il sapore della vita e delle esperienze che essa può dare all’uomo. Viaggia come musicista tra America ed Europa, poi rientra in Italia, dove, inizialmente presso la scuola di Mariella Scandola, poi da completo autodidatta, inizia ad addentrarsi nell’emisfero pittorico. Come lui stesso racconta il “fare” musica, come il “fare” arte, sono per lui attitudini esperienziali, veicoli per animare di gioiosa ed ardente energia la sua vita intima. La tecnica in cui l’artista si riconosce è astratta e materica, ed i suoi lavori sono fortemente impattanti, mai scontati nella trattazione dimensionale e negli accostamenti cromatici. Colpisce la capacità di Dal Bianco di dominare il gesto della spatola, egli sa naturalmente come rendere un volume o una campitura piatta, per darci una lettura autonoma di un paesaggio, un oggetto, una “street” americana, che hanno la “forma” della sua visione. Le opere pittoriche dell’artista raccontano delle sue esperienze personali, ma sono anche spunti, sia per l’osservatore, sia per l’arista medesimo, per varcare nuovi orizzonti, per darsi delle risposte, per dare nuovi significati a quello che “è stato” ed a quello che verrà. Vita è inaspettato, pittura è scoperta e ri-scoperta di vecchi mondi e nuove destinazioni.