Le opere di Emilio Isgrò (Barcellona di Sicilia, 1937) sono caratterizzate dal linguaggio della “cancellatura”. Si tratta di uno strumento che “rinforza la comunicazione laddove apparentemente la nega”: sono un “preciso ed inequivocabile segno linguistico”, utile all’artista per “distanziarsi dall’arte intesa come copertura e omologazione del mondo”. Il suo intento è dunque quello di porre importanza alla parola, dalla quale nasce il pensiero ed è fonte di creatività, in un’epoca dove è l’immagine che prende sempre più spazio.
Le sue opere descrivono la morte del linguaggio dei media e della cultura dominante e la sua rinascita artistica attraverso le potenzialità attivate dalla fantasia del lettore. La cancellatura esprime così il doppio significato di negazione e di esaltazione del testo cancellato, il cui valore si accresce proprio attraverso il suo occultamento. In questo modo, i testi scritti perdono l’aura di templi della conoscenza e si convertono in opere d’arte da essere esposte e contemplate, ma anche in interlocutori che pongono domande sulla loro essenza. Dopotutto, la cancellatura determina una forzata interruzione della continuità della lettura del pubblico che mette in crisi le sue aspettative e lo spinge all’immaginazione: i vuoti lasciati da Isgrò aprono in realtà la strada alla possibilità di infinite relazioni semantiche da parte dell’osservatore.
Tuttavia, un altro elemento spesso utilizzato da Isgrò è rappresentato dagli insetti. Questi elementi ricoprono le pagine bianche, confondendo il significato delle parole, e si convertono sia in una metafora di decadimento e putrefazione sia in una rinnovata possibilità di vivificazione dei manoscritti.
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